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Recensione libro “La nonna sotto il fico” di Gilberto Furlani

Da oggi nasce una nuova rubrica per Cultura Medica dedicata a libri e film che parlano di medici e pazienti e puntando i riflettori sul mondo della Medicina e sul ruolo del medico, lasciano un segno nell’immaginario del lettore/spettatore.

Perché la Medicina e l’Arte si appartengono più di quanto si possa immaginare, avendo entrambe al proprio centro l’uomo.

Nella letteratura e nel cinema, spesso, storie di medici, pazienti, malattie sono state fonte d’ispirazione per numerose opere. Nella letteratura e nel cinema, spesso, il medico trova una chiave per conoscere meglio se stesso e il modo in cui si relazione con l’altro.

Galeno desidera quindi condividere libri e film che possono rappresentare uno stimolo per i propri soci.

La nonna sotto il fico di Gilberto Furlani

Gilberto FurlaniGilberto Furlani, medico di famiglia di Guastalla, è l’autore di La nonna sotto il fico, un libro in cui sono raccolte e raccontate 34 storie di vita di suoi pazienti. Più che un libro, una vera e propria testimonianza di attimi di vita vissuti, di un tempo che ormai non si conosce e riconosce più. Viene raccontata la realtà di un mondo che, come Gilberto Furlani scrive nella dedica del libro, è stato vissuto da suo padre e di cui suo figlio non sentirà neppure parlare.

È la nostra storia. Quella dei nostri genitori, dei nostri nonni.

Gilberto Furlani  è il medico che va a visitare i suoi pazienti nelle loro sicure e protette case e mentre compie con dovere e responsabilità il suo lavoro, ascolta silenzioso le storie e i segreti dei suoi pazienti, custodendoli dentro di sé. Un medico che, mentre guarisce il corpo, consola e accarezza anche l’anima.

Con La nonna sotto il fico si compie un piccolo miracolo: attraverso queste pagine, Furlani ci prende  per mano e ci fa percorrere la strada di un Passato spietatamente duro e vero che, tuttavia, è anche capace di suscitare nostalgia e commozione.

 E così i protagonisti di questi racconti si materializzano davanti ai nostri occhi e li sentiamo un po’ vicini a noi. Come Giuseppe che dopo essere stato violentato nell’animo dagli orrori della guerra e dei campi di concentramento, per sostenere la sua famiglia, è costretto a salire su un carro bestiame insieme ad altri sfortunati come lui e ad andare a lavorare nelle miniere del Belgio con il corpo e l’anima ancora terribilmente spezzati dalle atrocità viste e subite.

Come Flavio che, nonostante siano passati ormai settant’anni, ancora ricorda con gratitudine e commozione la donna, giovane sposa del  “padrone” per cui lavorava quando era solo un bambino, che il giorno di Natale gli diede la sua paga mensile, così duramente guadagnata e così ingiustamente trattenuta dalle mani avide e prive di scrupoli del marito. Come un paziente di Furlani di cui non si ricorda il nome, o forse a cui non ha voluto darlo, chissà, che malato, sofferente e ormai morente, decide di brindare insieme al suo confidente e dottore e alla sua infermiera alla Morte che lo sta per chiamare con una bottiglia di Porto, il vino preferito del Re, un vino da festa, da bere insieme, proprio come si faceva in trincea prima dell’assalto.

Un libro autentico, poetico, bellissimo da considerare come il nostro passaggio del testimone da tramandare di generazione in generazione.