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I livelli obiettivo di pressione arteriosa nella terapia dell’ipertensione

prof. Marcello Negri

ipertensioneIl primo studio epidemiologico moderno – che si protrasse fino al 2002 attraverso 4 fasi – prese avvio nella cittadina di Framingham (USA) nel lontano 1948 stante il progressivo aumento delle morti per malattie cardiovascolari (MCV) cui si aggiungeva la consapevolezza delle scarse conoscenze sulla loro patogenesi. La ricerca ha avuto il merito di sviluppare il concetto di fattore di rischio per le MCV, identificandone nell’ipertensione arteriosa (IA) il principale. Nel 1987 W. P. Castelli (1) annotava: “Il fattore di rischio è divenuto un’importante parte della moderna medicina e ha definitivamente sviluppato la terapia e la prevenzione”.

L’ipertensione arteriosa viene riconosciuta quando la pressione arteriosa (PA) raggiunge 140/90 mm Hg,  affligge nel mondo 1 miliardo di persone ed è uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Oggi sappiamo con certezza che la terapia antiipertensiva riduce l’insorgenza non solo delle MCV ma anche dell’ictus e della malattia renale cronica indipendentemente dall’età dei pazienti, dal loro sesso, razza, cultura e gravità dell’ipertensione.

Prevenzione e terapia

Di fondamentale importanza sono le indicazioni scaturite dal Framingham study per quanto concerne lo stile di vita: nella dieta riduzione delle calorie, così da ridurre il peso corporeo se eccessivo, dei grassi (colesterolo) e del sale (sodio); incremento dell’attività fisica. Per quanto attiene la farmacoterapia, i trials furono dapprima orientati sul controllo di forme molto gravi di IA; successivamente sono stati estesi a tutti i tipi di IA impiegando numerosi farmaci e confrontandone attività e sicurezza.

Al momento attuale, c’è consenso generale sul fatto che le misure preventive e il controllo dell’IA sono seguiti da riduzione dell’incidenza delle MCV. Non vi è accordo sui livelli ai quali si deve stabilizzare la PA.

NHBPEP

Il National Hygh Blood Pressure Education Program (USA) contemplò, più di 40 anni fa, l’istituzione del Joint National Committee per fornire ai medici chiare indicazioni per la terapia dell’IA. Di notevole interesse sono state nel 2003 alcune conclusioni del settimo comitato (JNC-7) (2): “alla luce delle numerose osservazioni pubblicate e dei risultati dei trials… è necessario motivare di più i pazienti… negli ultra50enni una PA sistolica >140 mm Hg è molto più pericolosa per MCV rispetto all’elevazione della diastolica… soggetti con PA sistolica 120-139 e diastolica 80-89 sono da considerare preipertesi e devono osservare un determinato stile di vita… massima parte degli ipertesi necessita di 2 o più farmaci antipertensivi per raggiungere una PA <140-90 o 130-80 se diabetici o neuropatici”.

Conclusioni in parte modificate nel 2014 dal JNC-8 (3): “vi è forte evidenza che si devono trattare gli ipertesi ultra60enni in modo da avere una PA <150/90… e  <140/90 quando abbiano meno di 60 anni di età… non ci sono  particolari obiettivi per i diabetici e i nefropatici”.

AHA, ACC, ASH

L’American Heart Association, l’American College of Cardiology e l’American Society of Hypertension in passato avevano fissato il “goal” per la PA negli ipertesi a meno di 130/80 in caso di IA con/rischio di MCV e <120/80 nella IA con insufficienza congestizia.

Tuttavia, nel maggio 2015 (4) hanno rivisto queste posizioni raccomandando: “nel caso di IA con MCV, PA <140/90 è ragionevole come misura preventiva di 2° livello, <130/80 può essere appropriata in casi singoli… <150/90 per gli ultraottantenni… la PA diastolica deve essere abbassata lentamente specie nei diabetici e nei pazienti  con più di 60 anni di età”.

SPRINT

Si deve ai National Institutes of Health (USA) la promozione del Systolic blood pressure intervention trial (SPRINT) (5) con il mandato di confrontare il controllo intensivo della PA con quello standard. Un programma di 8-9 anni, con 9.000 ipertesi arruolati e 90 cliniche interessate, interrotto dopo poco più di 3 anni in quanto era già statisticamente acquisito che “tra i pazienti ad alto rischio di MCV, ma senza diabete, il raggiungimento di PA sistolica <120 mm Hg – rispetto a <140 – è associato ad una minore incidenza di MCV, di gravi eventi cardiovascolari fatali e non fatali, e di morte da ogni causa”. Gli autori riportano che il trattamento è stato ben tollerato, ma che si sono verificati alcuni “preoccupanti eventi avversi quali ipotensione, sincope, anomalie elettrolitiche, insufficienza acuta renale”. Questi risultati, comparsi nel novembre 2015 sul New England Journal of Medicine, sono certamente in controtendenza a quanto fino ad allora ritenuto opportuno.

Sullo stesso numero della rivista, A. V. Chobanian, autorevole clinico già presidente del JNC-7, commenta il trial e rileva che “i risultati non sono applicabili ai diabetici, ai convalescenti da ictus e agli anziani istituzionalizzati, in quanto non figurano tra i reclutati” e deduce che “certamente il valore ottimale della PA sistolica nel trattamento dell’ipertensione quale comunemente raccomandato, <150 mm Hg, sembra ora troppo alto per la massima parte degli anziani, e un più aggressivo approccio sembra necessario negli ipertesi con/alto rischio di MCV”.

Poi, per quanto attiene la riduzione della PA sistolica a meno di 120 mm Hg, l’autore dichiara: “al momento sarei più conservativo” e “secondo la mia opinione, i risultati dello SPRINT giustificano la riduzione della PA sistolica a <130 mm Hg nella massima parte dei pazienti con età >50 anni, senza diabete e storia di ictus… ma un trattamento farmacologico più aggressivo comporta spesso l’uso di 3 farmaci diversi, evento al quale medici e pazienti sono spesso contrari… e aumenta l’impegno sanitario in generale per il controllo degli eventi avversi”. Conclude, infine, che è necessario un maggiore impegno a livello nazionale nella prevenzione.

Sarà l’ultima parola?

 

Bibliografia

1.  W P Castelli. The Framingham heart study-therty years. Med Sect Proc 1987, 103, 14.

2.  NIH Publication JNC-7 on prevention, detection, evaluation of high blood pressure.  no. 03.5233, december 2003.

3.  P A James et Al.  JNC-8. Evidence based guideline for the manegement of high blood pressure in adults. JAMA

2014, 311, 507.

4.  AHA/ACC/ ASH. Treatment of hypertension in patients with coronary artery disease. J Am Coll Cardiol 2015, 85

(18), May .

5.  The SPRINT Research Group. A  randomized trial of intensive versus standard blood-pressure control. N Engl J

Med 2015, 373, 2103.

6.  .A V Chobanian. Time to reassess blood pressure goals. New Engl J Med 2015, 373, 2093.

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