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Il sistema pensionistico pubblico

Le tappe più importanti dell’evoluzione del sistema pensionistico nel nostro Paese.  

 

 

 sistema pensionistico

Nel corso degli ultimi trent’anni il sistema pensionistico italiano è stato interessato da riforme strutturali finalizzate:

• al progressivo controllo della spesa pubblica per pensioni, che stava assumendo dimensioni elevate rispetto al Prodotto Interno Lordo;

• all’istituzione di un sistema di previdenza complementare che si affiancasse a quello pubblico.

Per comprendere la portata di queste riforme, è importante riassumere – sia pure brevemente – le tappe più importanti dell’evoluzione del sistema pensionistico nel nostro Paese.

Durante gli anni 70, come la maggior parte dei Paesi occidentali, l’Italia è stata interessata da un forte rallentamento dell’economia, determinato principalmente dalla crisi petrolifera del periodo 1973 – 1976 che sconvolse il quadro economico del Paese.

Lo Stato ha dovuto affrontare una maggiore spesa a sostegno di coloro che non riuscivano a trovare un’occupazione e delle imprese, anch’esse in crisi; ciò ha contribuito a generare una situazione difficile per la finanza pubblica, determinata dal forte aumento del debito pubblico.

Nel corso degli anni 80, in gran parte dei Paesi industrializzati è maturata la consapevolezza riguardo alla necessità di provvedere al riequilibrio dei conti pubblici attraverso il ridimensionamento della spesa corrente. In Italia, soltanto alla fine del decennio è stata realizzata una manovra di correzione dei disavanzi di bilancio basata sull’inasprimento della pressione fiscale.

A partire dagli anni 90, sono state avviate riforme strutturali che hanno riguardato anche il sistema pensionistico.

Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (INPS, INPDAP, ecc.) è strutturato secondo il criterio della ripartizione. Ciò significa che i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa. Per far fronte al pagamento delle pensioni future, dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve.

È evidente che in un sistema così organizzato, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve essere in equilibrio con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate).

 

Il problema demografico

Una delle principali cause di crisi del sistema pensionistico è collegata ai notevoli cambiamenti demografici che hanno interessato i paesi occidentali nel corso degli ultimi anni.

All’interno dell’unione europea, il nostro paese rileva la presenza del maggior numero di anziani e, in base alle prospettive dell’Istat, la percentuale della popolazione anziana continuerà ad aumentare

L’aumento del numero degli anziani influenza in maniera negativa la spesa pensionistica, poiché più sono le persone in pensione, maggiore sarà il numero di prestazioni da erogare.

Ad aggravare la situazione, poi, rileva anche la consistente riduzione della fascia di popolazione in età lavorativa che comporta una quantità inferiore di risorse contributive su cui il sistema può contare per finanziare le pensioni pubbliche.

 

L’aumento del tasso di disoccupazione e le nuove forme di lavoro

Oltre ai problemi dal punto di vista demografico, occorre evidenziare una notevole crisi nel mondo del lavoro, i cui aspetti incidono negativamente sul sistema pensionistico.

All’aumento del tasso di disoccupazione  si aggiungono i nuovi tipi di contratti che stanno sostituendo rapidamente il lavoro dipendente e che sono contraddistinti da aliquote contributive più basse rispetto a quelle che caratterizzano un lavoratore dipendente.

 

La crisi della finanza pubblica

La riforma del sistema pensionistico è stata pesantemente influenzata anche dalla crisi della finanza pubblica.

Il debito pubblico è aumentato considerevolmente, in particolare nei primi anni ’90, proprio quando l’Italia è stata chiamata, in virtù dei parametri di Maastricht del 1992, a riordinare i conti pubblici e a ridurre drasticamente il rapporto tra debito e prodotto interno lordo, al fine di poter partecipare all’unione monetaria europea.

Il sistema previdenziale, dalla metà degli anni ’70, ha avuto bisogno in maniera sempre più consistente dell’intervento dello stato per poter integrare i contributi.

Il sistema pensionistico italiano ha assunto infatti, oltre al ruolo previdenziale, anche un ruolo assistenziale (si parla appunto di welfare state) e per coprire tale fabbisogno si è reso sempre più necessario l’intervento pubblico.

 

Le riforme del sistema pensionistico

Uno dei principali obiettivi del processo di cambiamento del sistema pensionistico iniziato nel 1992 con la riforma Amato e proseguito con le riforme Dini e Prodi e Fornero, rispettivamente del 1995 e del 1997 e per ultimo nel 2011, è stato quello di riportare sotto controllo la spesa pensionistica, che stava raggiungendo proporzioni troppo elevate rispetto al prodotto interno lordo.

È cambiato il sistema di rivalutazione delle pensioni in pagamento, non più collegato anche alla dinamica dei salari reali (cioè al netto dell’aumento dei prezzi al consumo) ma soltanto all’andamento dell’inflazione; sono stati ritoccati i requisiti minimi per ottenere la pensione sia con riguardo all’età anagrafica sia all’anzianità contributiva; si è tentato di intraprendere la strada della previdenza complementare, basata sui fondi pensione a gestione privata, che sarà finanziata in larga parte con l’impiego del trattamento di fine rapporto.

 

 

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