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I primi 30 giorni con il COVID-19: Storia di un Medico di famiglia tra scienza e coscienza

Il mio primo incontro con il SARS COV-2, alias COVID 19, è avvenuto verso i primi di Febbraio 2020, quando ormai il mondo scientifico cominciava ad acuire l’interesse verso questo nuovo microrganismo da caratteristiche originali e con discreto potenziale di letalità. Mai avrei immaginato che da lì a pochi giorni sarebbe diventato il mio compagno ossessivo delle successive settimane…

Tutto è iniziato con la prima richiesta di intervista in diretta televisiva sulla rete Rai 1, per la quale ero già informata scientificamente; racconterò dunque per capitoli queste quattro settimane, partendo dalle conoscenze tecniche via via arricchite di nuovi dettagli, passando attraverso i vari ruoli di comunicatore televisivo scientifico, Medico di famiglia e Cittadina…

IL SIGNOR COVID 19

La maggior parte dei dati conoscitivi proviene dagli studi epidemiologici cinesi, arricchiti nelle settimane da osservazioni scientifiche effettuate in laboratori di molti Paesi e nel territorio delle aree maggiormente colpite.

Il SARS COV-2 è un Beta-coronavirus, diametro 60-140 nm, inattivato a 56°C per 30 minuti e da soluzione di etanolo al 75%, dal cloro e dal cloroformio.

La trasmissione avviene con particelle virali integre ed è interumana, per contatto ravvicinato tramite droplets, anche da portatori asintomatici. E’ stato isolato anche in feci ed urine e resiste sulle superfici ore, in particolare la capacità infettiva si abbatte in 24 ore per il cartone, 48 ore per l’acciaio e 72 ore per la plastica. L’incubazione varia da 1 a 14 giorni e la sintomatologia tipica è rappresentata da febbre, tosse secca, astenia, dolori muscolari, talora congiuntivite, diarrea.

A livello polmonare usa come recettore di entrata nelle cellule dell’epitelio alveolare l’ACE2. Con i tamponi orofaringei in casi sospetti si rilevano gli acidi nucleici virali, ma test più accurati in Cina si sono rivelati quelli su espettorato o sierologici. Gli esami ematochimici mostrano già all’esordio sintomatologico linfocitopenia, aumento di LDH, CPK, PCR e VES; l’Rx torace dopo alcuni giorni solitamente mostra addensamento interstiziale periferico e successivamente immagine a vetro smerigliato.

Nei Pazienti che evolvono verso complicanze, talora in assenza di febbre, dopo circa sette giorni compare dispnea con tachipnea (oltre 30 atti/min), sO2 <93 % a riposo, pancitopenia, aumento di IL-6, LDH e spesso D-Dimero e successiva improvvisa insufficienza respiratoria con ipossia ipocapnica, Acute Distress Syndrome e/o shock settico. Nei referti autoptici si sono riscontrati microtrombi in sedi polidistrettuali quali alveoli polmonari, miocardio, parenchima epatico e renale, nonché fibrosi polmonari e renali.

In caso di ricovero, i pazienti fumatori hanno presentato rischio doppio di necessità di ventilatori meccanici rispetto ai non fumatori. La mortalità tra i dati epidemiologici cinesi è stata assente al di sotto dei dieci anni ed ha raggiunto progressivamente massima percentuale sopra gli ottanta anni, con prevalenza del sesso maschile. Tra le principali comorbidità correlate alla letalità vi sono diabete, ipertensione arteriosa, malattie respiratorie croniche, scompenso cardiaco, insufficienza renale. Nei pazienti ricoverati e dimessi è stata consigliata prosecuzione di almeno due settimane di isolamento e monitoraggio per il rischio di reinfezioni, poiché la memoria anticorpale non è definitiva. La terapia resta il problema centrale del trattamento in attesa di una profilassi vaccinica. Molti farmaci sono stati utilizzati o sono in fase di sperimentazione, anche in considerazione del meccanismo di autoimmunità generato dal virus; tra quelli più suggeriti, oltre una antibioticoterapia di profilassi con Azitromicina , vi sono la clorochina e l’idroclorochina, nonché farmaci in terapie sperimentali quali l’antivirale Remdesivir, l’immunosoppressore Tocilizumab che neutralizza l’IL-6, un anticorpo monoclonale specializzato nel riconoscere la proteina Spike che il virus utilizza per aggredire le cellule endoteliali respiratorie, o ancora dosaggi molto elevati di Enoxaparina sodica.

COSA COMUNICARE AI CITTADINI

La comunicazione televisiva scientifica ha il compito difficile ed essenziale di rendere comprensibili argomenti di natura tecnica, ma in questo caso anche informare senza allarmare e rendere consapevoli per ottenere un cambiamento comportamentale.

Sino dalla prima trasmissione l’obiettivo che mi sembrava indispensabile era far comprendere che le epidemie diventano pericolose se e quando le sottovalutiamo, ancor più per un virus di cui sapevamo poco.

Avendo pochissimi minuti disponibili come spesso consentito dai tempi televisivi, ho deciso di lanciare lo slogan La salute di tutti dipende da tutti, nell’intento di segnalare la necessità di poter contenere la diffusione virale solo compiendo azioni responsabili e condivise: dalle norme igieniche suggerite anche dal decalogo del Ministero Salute, alla richiesta come medico di famiglia di non affollare gli studi dei medici, ma stabilire sempre prima un contatto telefonico per evitare spostamenti inutili quanto pericolosi. Sono stati quindi continui nelle settimane gli interventi per sensibilizzare la popolazione ad evitare il contagio ed anche impedire di diffondere l’infezione ai medici del territorio, sprovvisti (e lo sono ancora oggi dopo ben quattro settimane) di dispositivi di protezione, introvabili nel mercato anche on line, né distribuiti dalle Aziende Sanitarie sebbene promessi…

Rassicurare è anche obiettivo della informazione pubblica,  nonostante i numeri dei contagiati ed i decessi siano saliti in modo abnorme nei giorni, il cittadino deve essere incoraggiato nel proseguire il rispetto delle norme disposte e delle regole indicate, senza perdere la fiducia nella certa risoluzione della epidemia grazie l’isolamento…

Momenti difficili quelli in cui il mio pensiero era soprattutto per la sofferenza anche dei sanitari impegnati in prima linea senza tregua, sottoposti a stress psicofisico, encomiabili per la dedizione e la capacità di affrontare una imprevedibile emergenza senza strumenti adeguati e senza disponibilità di posti letto, storie umane che si sovrappongono alla professionalità ineccepibile.

Ancora oggi il messaggio ripetitivo rivolto ai cittadini deve rimanere “Restate a casa”, sinché non raggiungeremo l’agognato traguardo dell’esaurimento dell’infezione. Impossibile rispondere con chiarezza alla domanda spesso rivolta dagli intervistatori: “Quando terminerà?”.

Le ipotesi sono basate sui dati provenienti da Wuhan, dove la curva epidemica è iniziata verso metà gennaio con apice dopo quattro settimane ed esaurimento dopo altre sei, quindi dopo la metà marzo. Questa curva è più verosimile per l’Italia rispetto la curva della Corea del Sud dove il fenomeno è iniziato verso metà febbraio, ma dopo sole cinque settimane si è esaurito, probabilmente per le rapide e decisive misure di isolamento intraprese.

In Italia l’inizio della curva risale al 21 Febbraio, dopo quattro settimane oggi siamo probabilmente ed auspicabilmente all’apice della curva, ma con un numero di decessi che sfiora i 5000 mentre la Cina ne conta poco più di 3200 e tra questi abbiamo 16 medici di cui sette medici di famiglia.

Impossibile dichiarare apertamente ai cittadini che sulla base dei documenti disponibili su precedenti pandemie quali la SARS, la percentuale di sanitari infettati è stata del 21% e che le emergenze sanitarie indicano tra i punti essenziali la organizzazione territoriale ed ospedaliera anticipata e rapida, nonché la programmazione capillare della protezione dei sanitari, che sono possibili principali iperdiffusori silenti, ma anche prime vittime del contagio.

Nel nostro sistema ci sono stati forse ritardi nella applicazione delle norme di isolamento, forse scelte premature di sospendere test diagnostici tramite tamponi orofaringei ai sintomatici ed a tutti i soggetti a rischio, in primis sanitari, per poterli isolare, e certamente inadempienze nella dotazione di protezioni ai sanitari del territori.

Ad oggi posso solo ricordare ai cittadini che insieme, noi sanitari e loro, potremo arrestare la diffusione evitando i contatti per almeno altre quattro settimane.

COME ASSISTERE I PAZIENTI

Tra i compiti peculiari del medico di famiglia la comunicazione informativa ed educazionale è certamente uno dei più impegnativi.

La percezione di pericolo non controllabile, di un nemico invisibile e mortale, è stata la prima difficoltà da affrontare.

La notizia di un giovane sano e sportivo ricoverato in rianimazione è stata motivo di apprensione generalizzata, un virus nuovo che può colpire chiunque e per il quale non abbiamo difese. E’ stato subito panico tra la popolazione, i primi ad affollare gli studi ma soprattutto a chiedere consulenze dettagliate telefoniche o tramite mail sono stati i pazienti affetti da nevrosi di ansia o ipocondria, avidi di informazioni su come difendersi, come eventualmente riconoscerne i sintomi e segni di esordio, quali soluzioni terapeutiche esistevano, quali modalità di trasmissione, quali mascherine o protezioni potevano essere utilizzate.

E poi i malati cronici, preoccupati della eventuale interruzione dei loro già stabiliti percorsi diagnostici, o della pericolosità mortale delle loro comorbidità di fronte l’infezione.

Poi ancora le mamme, spaventate all’idea della potenziale mortalità per i bambini o i giovani. E le persone di media età, che assistono genitori anziani e talora disabili, fragili e multimorbili.

Un interminabile numero di contatti in cui spiegare, rassicurare, raccomandare, programmare, dando reperibilità h24 sette giorni su sette… Sono così iniziate le visite solo in appuntamento, distanziate per evitare incontri tra pazienti, precedute sempre da contatto telefonico per escludere possibili sintomi compatibili con stati influenzali.

La bonifica continua dello studio tra un paziente ed il successivo e a fine studio; i primi ammalati con sindromi febbrili totalmente seguiti via mail o telefono almeno due volte al giorno sino risoluzione dei problemi, facilitata ovviamente dalla conoscenza dettagliata del paziente nel tempo; sono iniziati i problemi burocratici delle emissioni di certificati, gli impossibili contatti con i numeri di riferimento COVID regionali, la frustrazione ripetuta di non poter effettuare tamponi diagnostici alle decine di sospetti; e sono arrivati i giorni della necessaria richiesta di accedere allo studio solo con mascherine chirurgiche e guanti, ricevuti da me e dai miei allievi tirocinanti con abiti chirurgici e doppie mascherine sempre chirurgiche, in assenza di protezioni FFP2 irreperibili, a distanza di oltre 2 metri, in stanza sempre arieggiata, con tempi ristretti.

E poi, l’incredibile tempo dei contatti per avere notizie del mio stato di salute, per incoraggiarmi a resistere, per ringraziarmi della presenza, del lavoro, della comunicazione televisiva, della professionalità. Loro, si sono presi cura di me. Hanno preparato cibi lasciati furtivamente a studio, qualcuno ha regalato mascherine, alcol, detergenti, persino un libro ed un gioco per trascorrere il tempo con il mio cane. Nessuno ha mostrato insofferenza per l’anomala modalità di visita, per le regole restrittive, per la mia richiesta di contatti non diretti. Circa 1400 assistiti responsabili, ricettivi, educati, corretti, collaborativi, affettuosi. Come se la necessità avesse generato resilienza. La forza di questo popolo dalle grandi origini…

Non so quando terminerà, di certo tra molte settimane, ma so che ne usciremo migliori, e pronti per ricominciare, forse anche con un Sistema Sanitario finalmente rinnovato e non più vittima della politica economica dei tagli e della mediocrità, ma figlio di Ippocrate e della meritocrazia.

Carla Bruschelli

 

 

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