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Collaborazione tra il medico ospedaliero e il MMG

prof. Marcello Negri

medici-blogtaorminaLe organizzazioni sanitarie italiane e statunitensi sono strutturate in modo molto diverso, ma si trovano oggi a dover risolvere problemi comuni ad entrambe, tra cui il rapporto che si instaura nel caso di ricovero tra il medico ospedaliero e il medico di famiglia o MMG.

In Italia l’ospedale ha da sempre un proprio personale indipendente dall’attività dei MMG. Questi, dall’ultimo dopoguerra, sono divenuti una rete capillare, garante della salute del cittadino, sempre più omogenea e professionalmente preparata. La collaborazione tra il medico ospedaliero e il MMG è ancora scarsa: è raro che l’ospedaliero inviti il MMG a fornirgli notizie del ricoverato, non è frequente che il MMG segua il suo paziente durante il ricovero. L’incontro tra i due professionisti si concretizza spesso nella sola lettera di dimissione anche se nell’ultimo decennio questa è divenuta nettamente più dettagliata.

L’evoluzione negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, fino agli ultimi anni ’80 era il medico di famiglia a curare il proprio paziente nell’ospedale; oggi vi opera solo personale esclusivo. Le cause del totale cambiamento vengono individuate nel rapido aumento delle conoscenze, delle tecnologie diagnostiche e dei presidi terapeutici, in pratica in una molto più impegnativa gestione del paziente che ha portato alla creazione nell’ospedale di uno staff e alla moltiplicazione degli ambulatori specialistici. Ciò ha permesso anche di rispondere alla contemporanea necessità di incrementare le entrate e di ridurre la durata dei ricoveri. Tuttavia, il nuovo sistema non è risultato esente da critiche: da una parte, il medico ospedaliero rischia di ripetere esami diagnostici inutilmente, di prescrivere una terapia non personalizzata, ha difficoltà con un paziente complesso che vede per la prima volta e che necessita di una terapia intensiva; dall’altra, il medico di famiglia riceve nel postricovero una nota di dimissione che può non contemplare particolari situazioni psico-sociali oltre che mediche, con conseguenze negative; infine, avviene spesso che il malato durante il ricovero cerchi la tranquillità che gli darebbe il medico di famiglia.

Una proposta dal Massachussetts General Hospital di Boston

H. Goroll e D. P. Hunt (N Engl J Med 372, 308, 2015) del Massachusetts General Hospital di Boston propongono una soluzione, sulla quale conviene riflettere anche da parte nostra. Secondo gli autori, il medico di famiglia (per noi il MMG) potrebbe acquisire la funzione di “consulente”: questi (a) entro 8-18 ore dal ricovero visita il proprio paziente e redige una relazione con i suggerimenti per l’ospedaliero che – ovviamente – non perde la piena responsabilità del malato; (b) è libero di seguire l’iter del ricovero e, quindi, di intervenire in caso di necessità presso i colleghi o la famiglia, (c) è presente alla dimissione contribuendo con il medico ospedaliero alla stesura del programma postricovero.

Indiscutibili appaiono i vantaggi per il paziente, ma anche per il medico di famiglia che vede valorizzato il proprio ruolo centrale. Gli autori valutano positivamente la fattibilità economica del progetto; in Italia una regolamentazione potrebbe essere raggiunta facilmente in quanto il MMG è convenzionato con il SSN ed è già stabilito che può  prestare servizio per i ricoverati nelle RSA.

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