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Felicità e mortalità: quanto sono effettivamente legate?

 prof. Marcello Negri

 

 felicità e mortalità Galeno

Nell’antica Grecia, la felicità era la perfezione individuale, il fine ultimo della vita – intesa questa come la ricerca e il conseguimento del Bene; secondo Aristotele si identificava con la virtù. La migliore definizione la diede Epicuro: “non avere dolore nel corpo né turbamento nell’anima” (ataraxia). Duecento anni dopo, il senato romano, volendo onorare Lucio Cornelio Silla sul finire della sua folgorante carriera militare e civile, gli riconobbe un cognome aggiuntivo: “Felix”. La filosofia europea moderna, forse sotto l’influsso del rigorismo di Immanuel Kant, ha atteso poco al concetto di felicità; per quanto riguarda la cultura italiana, il Vocabolario Treccani porta una definizione molto simile a quella di Epicuro. La nozione di felicità è, invece, rimasta viva nella tradizione culturale anglosassone; ad esempio, Bertrand Russel nel 1939 pubblicò il saggio The conquest of happiness

 

La felicità allunga la vita?

 

Nell’immaginario collettivo è radicata la convinzione che uno stato di infelicità si associa ad aumento della mortalità (soprattutto per cardiopatia ischemica) e che alla felicità segue la diminuzione della mortalità. In questo senso hanno concluso anche diversi studi prospettici e rassegne nell’ultimo quinquennio; tra i fattori chiamati in causa per spiegare l’associazione sono stati invocati il colesterolo e il sistema immunitario. Ma Bette Liu e collaboratori (1), dopo aver rilevato che ci sono delle valutazioni che possono inficiare il rapporto (“la cattiva salute può sia provocare l’infelicità sia favorire la mortalità; l’infelicità potrebbe associarsi con stili di vita che incidono sulla mortalità”), si sono proposti di “stabilire se, dopo avere tenuto conto della cattiva salute e dello stile di vita dei soggetti che sono infelici, resta una solida evidenza che la felicità– o quanto individualmente è correlato con il benessere – di per se stessa riduca direttamente la mortalità”.

 

Lo studio prospettico su un milione di donne nel Regno Unito

 

Lo studio è stato supportato dai tre più importanti enti britannici per la medicina e la ricerca e da quello australiano. Il  reclutamento è durato 5 anni; dopo i primi 3 anni è cominciato l’invio dei questionari di base; poi le donne sono state seguite per 10 anni; l’analisi ne ha riguardate 719.671; l’età media era 59 anni; la morte ne ha colpite 31.531, il 4,38%.

L’analisi statistica è stata eseguita applicando la regressione di Cox, corretta per l’influenza delle variabili prognostiche, per calcolare i rapporti del tasso di mortalità confrontando la mortalità nelle donne che si erano dichiarate infelici (cioè quelle felici qualche volta, raramente, mai) con quelle che si erano definite felici quasi sempre.   

Nella ricerca di Liu et Al. la cattiva salute percepita dalle partecipanti e l’essere in terapia per ansia e depressione sono risultati – inizialmente – fortemente associati con l’infelicità. Ma gli autori argomentano che “alcuni precedenti studi hanno confuso causa ed effetto… il nostro studio dimostra che l’infelicità è associata alla cattiva salute soprattutto perché la cattiva salute produce infelicità, in parte anche perché l’infelicità è associata con lo stile di vita”. Infatti, quando gli autori nell’analisi statistica hanno tenuto conto della personale percezione della salute, del trattamento di stati morbosi quali l’ipertensione, il diabete, l’artrite, l’asma, la depressione, l’ansia, e nello stesso tempo dei numerosi fattori sociodemografici o legati allo stile di vita (compresi il fumo, la magrezza, l’obesità), l’infelicità non è risultata associata con la mortalità da ogni causa né da cardiopatia ischemica o da cancro.

Infine, concludono: “delle partecipanti un quarto proviene da Inghilterra e Scozia e ha un’età che si colloca nella media per cui la ricerca è riferibile al Regno Unito…  abbiamo tenuto conto di tutti i possibili fattori di morte… la felicità e l’infelicità non hanno alcun effetto materiale sulla mortalità”.

 

Un autorevole commento

 

Non c’è dubbio che la ricerca di Liu et Al. rappresenta una “pietra miliare”, anche se  la riflessione su infelicità e felicità non si fermerà. Infatti, Philippe de Suto Barreto (2), sulla stessa rivista inglese, ha lodato la “vastità del campione, il più grande finora usato per la felicità” e il modo con cui è stata condotta l’analisi statistica. Inoltre, considerata la complessità del concetto di felicità, l’autore suggerisce ulteriori studi che contemplino entrambi i sessi e di prendere in esame anche la demenza, prolungando in questo caso  il periodo di osservazione.  

 

Bibliografia

1.     Bette Liu et Al. Does happiness itself directly affect mortality? The prospective UK million women study. Lancet 2015, December 9.

DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(15)01087-9

2       P de Suto Barreto. Happiness and unhappiness have no direct effect on

      mortality. Lancet 2016, 387, 10021, 822.