Cassa Galeno

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Organi umani su chip, sistemi microfluidici

Photo by Wyss Institute at Harvard University

data di pubblicazione: 11 novembre 2022

di Riccardo Bugliosi

La ricerca scientifica in campo biomedico, così dinamica ed innovativa, scopre di frequente nuove molecole che rappresentano potenziali nuovi farmaci. Questi ultimi però necessitano di essere validati al fine di stabilirne l’efficacia e la tollerabilità. Entrano quindi nel processo di sperimentazione che procede in una prima fase detta ‘preclinica’, e cioè in laboratorio e sull’animale, quindi, se la prima è stata validata, nella successiva, detta ‘clinica’, che coinvolge l’uomo. La sperimentazione è lunga, complessa, molto costosa ed implica l’utilizzo degli animali: tutte caratteristiche che esigono di essere migliorate. È soprattutto auspicabile che la sperimentazione sugli animali sia ridotta drasticamente se non (in un presumibile futuro) superata.

Al fine di migliorare la nostra capacità di testare a livello preclinico le risposte dell’organismo a farmaci sperimentali i ricercatori stanno iniziando a sfruttare i progressi dalla biologia cellulare, soprattutto nei campi della microfabbricazione e della microfluidica. Questo ci consente lo sviluppo di modelli microingegnerizzati di unità funzionali di organi umani, chiamati ‘organi su chip’, che forniscono, assieme a modelli matematici associati, il supporto su cui testare nella fase preclinica le nuove molecole farmacologiche ottenendo un migliore potere predittivo, tempi più brevi e costi notevolmente inferiori, per non parlare della potenzialità offerta dal fatto di poter limitare la fase della sperimentazione su cavia.

Questo approccio fa quindi parte del filone delle “tre r”: reduce, refine e replace per la sperimentazione animale e cioè dell’obiettivo di ridurre sempre di più nel tempo questo passaggio, ad oggi fondamentale, nello studio preclinico dei nuovi farmaci.

Seguiamo a questo punto il percorso che porta agli ‘organi su chip’ seguendo le conoscenze e le tecnologie che ne permettono la realizzazione arrivando, alla fine, al ‘paziente on chip’.

Microfabbricazione

Con questo termine ci si riferisce alle tecnologie ed ai processi utilizzati nella realizzazione di strutture e/o dispositivi microscopici. In questo campo le dimensioni si misurano in micrometri e le strutture di cui si parla possono avere dimensioni inferiori a quelle di una cellula umana. I primi processi di microfabbricazione hanno riguardato i circuiti integrati (microchip, semiconduttori elettronici) in seguito la microfabbricazione si è adattata a nuove classi di materiali, fra i quali i polimeri che sono considerati particolarmente adatti alle applicazioni biomediche grazie alle loro caratteristiche fisiche, chimiche e di costo.

I sistemi microelettromeccanici sono al cuore di un vasto numero di tecnologie e prodotti di uso quotidiano in quanto sono più economici, più integrabili, più facili da produrre ma anche più affidabili rispetto ai dispositivi di dimensioni maggiori costruiti con tecnologie e materiali più tradizionali. Li possiamo trovare in una grande quantità di dispositivi di uso comune come gli smartphone, i fitness tracker, i pacemaker, i tablet e gli airbag solo per citarne alcuni.

La microfabbricazione è dunque pervasiva e si evolve velocemente grazie alle nanotecnologie, tanto importanti in campo medico.

Microfluidica

La microfluidica è una scienza multidisciplinare che studia il comportamento, il controllo e la trasformazione dei fluidi quando questi si trovano in un contesto dalle dimensioni molto piccole (sub-millimetriche), in ultima analisi studia il flusso dei liquidi all’interno di canali di dimensioni micrometriche.

La microfluidica include l’ingegneria, la fisica, la chimica, la biochimica, la biotecnologia e le nanotecnologie. Ha applicazioni pratiche nella progettazione di sistemi che elaborano bassi volumi di fluidi per ottenere sia automazione e screening ad alta produttività che multiplexing. Quest’ultimo è una modalità di invio di più segnali o flussi informativi su un unico canale di comunicazione e sotto forma di un unico segnale complesso. Una volta giunto a destinazione tale segnale, mediante un processo chiamato demultiplexing, recupera i singoli differenti segnali che possono quindi essere veicolati su diverse linee di comunicazione.

Per capire l’utilità di tale tecnica nelle biotecnologie dobbiamo pensare che con il multiplexing è possibile ridurre la quantità di campione richiesta in una reazione PCR misurando l’espressione di più di un gene in una singola reazione. In questo modo, da un lato conserva una quantità di campione prezioso, dall’altro si risparmia sui reagenti e sui tempi di svolgimento di tutto il processo.

Il termine dispositivo microfluidico si riferisce ad un dispositivo che elabora una piccola quantità di fluido che varia dal nanolitro al millilitro.

sistemi microfluidici sono sistemi di flusso fluido regolato e non turbolento tipicamente utilizzati negli esperimenti biologici controllati. In questi sistemi sono stati progettati interruttori e sistemi genetici in grado di attivare, inibire o modulare l’attività che si svolge al loro interno. In questo modo si ottiene un maggiore controllo su come si mescolano i liquidi e come interagiscono tra di loro e questo rende tali sistemi sempre più interessanti per gli studi in farmacologia e nelle biotecnologie.

Il chip microfluidico è la piattaforma fisica che ospita il dispositivo microfluidico. Tale dispositivo è composto da una serie di microcanali incisi o modellati in un materiale di varia natura (polimeri, ceramiche, semiconduttori, metalli). Questi microcanali sono collegati tra loro in modo da realizzare le caratteristiche progettuali desiderate (mescolare, pompare, selezionare o controllare l’ambiente biochimico). La dimensione della maggior parte dei dispositivi microfluidici rientra nell’intervallo di poche centinaia di micron mentre i chip microfluidici di solito hanno dimensioni comprese tra 1 e 10 cm e di norma assomigliano ad un vetrino da microscopio. Un chip microfluidico può ovviamente ospitare più dispositivi microfluidici.

Un gruppo multidisciplinare di ricercatori del Wyss Institute di Harvard ha utilizzato e adattato i metodi di produzione di microchip per computer per creare “Organs-on-Chips” (OoCOrgani su Chip). Si tratta di dispositivi di coltura microfluidica che emulano le strutture e le funzioni degli organi umani viventi. Questi microdispositivi sono composti da un polimero trasparente flessibile delle dimensioni di pochi centimetri che contiene canali microfluidici cavi rivestiti con cellule di organi e di vasi sanguigni umani. Queste sezioni trasversali viventi e tridimensionali degli organi umani forniscono una finestra sul loro funzionamento interno e sugli effetti che i farmaci possono avere su di loro, senza coinvolgere esseri umani o animali.

organo chip

Photo by Wyss Institute at Harvard University

Allo stato dell’arte gli attuali OoC (Organi su Chip) hanno avuto successo nel replicare in vitro alcune delle caratteristiche più rilevanti riscontrate all’interno di organi in vivo ed inoltre le possibilità offerte dall’utilizzo delle cellule del paziente contribuiscono ad una più precisa valutazione delle opzioni terapeutiche maggiormente efficaci e degli eventuali meccanismi legati alla farmacoresistenza.

Negli ultimi anni gli OoC sono stati utilizzati per modellare una vasta gamma di disturbi e malattie che coinvolgono quasi tutti i sistemi d’organo, per avere o affinare nuove conoscenze sulle basi molecolari e cellulari di processi fisiologici e fisiopatologici, per modellare vari tipi di approcci alla somministrazione di farmaci (ad esempio vettori virali e nanocarrier) e per studiare le risposte cliniche a terapie, radiazioni, tossine e impianti chirurgici.

Nel seguente video, relativo ad una conferenza TED, sono brevemente illustrati i concetti espressi sinora:

Passiamo ora ad elencare una serie ‘Organi su Chip’ realizzati ed alcuni esempi del loro utilizzo specifico.

Polmone

Lo specifico OoC che emula le vie aeree polmonari umane sane o malate viene realizzato popolando i chip con cellule epiteliali bronchiali o bronchiolari ottenute da donatori sani o da pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e coltivandole in un’interfaccia aria-liquido. I chip ottenuti con cellule epiteliali della BPCO hanno mostrato caratteristiche sovrapponibili a quelle prodotte nell’uomo dall’esposizione ad infezioni virali, batteriche o dal fumo di sigaretta. Tra queste sono da segnalare un’ipersecrezione selettiva di citochine ed un aumento del reclutamento di neutrofili.

È stato possibile sviluppare modelli delle vie aeree polmonari asmatiche esponendone frammenti sani all’IL-13 (Interleuchina 13). In questo caso si è verificata l’iperplasia delle cellule caliciformi, la secrezione infiammatoria di citochine e l’attivazione endoteliale. È stata anche riscontrata una riduzione della frequenza del battito delle ciglia: tutte alterazioni che si osservano nei pazienti asmatici.

Nel campo delle neoplasie è stato studiato il rapporto tra OoC polmone e cellule di adenocarcinoma polmonare non a piccole cellule. Le cellule tumorali sono cresciute molto più rapidamente nell’area alveolare del chip come avviene nell’uomo e questo ha confermato la validità del modello.  È molto significativa la scoperta, avvenuta sfruttando la modulazione dei segnali meccanici, che i movimenti respiratori inibiscono sia la crescita e la diffusione del cancro nel polmone sia d’altro canto l’efficacia di un farmaco antitumorale di prima linea.

COVID-19

In tempi recenti si sta studiando l’interazione tra le diverse cellule dei modelli polmonari di OoC ed il Sars-Cov-2 ed è emerso che le cellule alveolari potrebbero non essere i primi tipi cellulari infettati. Utilizzando un’innovativa piattaforma OoC un gruppo di ricerca dell’Università di Toronto ha identificato una molecola che ha il potenziale per combattere una delle complicanze più gravi delle infezioni da COVID-19 e cioè la tempesta di citochine. Tale molecola, un principio antiinfiammatorio, non agisce direttamente contro il virus ma previene l’abnorme reazione immunitaria prodotta dal virus stesso.

Fibrosi Cistica

È recente l’utilizzo di Organs-on-Chip riproducenti le vie aeree polmonari per lo studio della fibrosi cistica utilizzando l’epitelio primario isolato da pazienti affetti da questa patologia. Questi chip hanno dimostrato di saper replicare fedelmente molte caratteristiche presenti nelle vie aeree umane caratteristiche di questa patologia. L’obiettivo è quindi sia lo studio della fisiopatologia di questa malattia sia testare nuove strategie terapeutiche e/o nuovi farmaci.

Fegato

Anche nel caso di quest’organo sono stati sviluppati e vengono utilizzati numerosi modelli di chip utili al fine di modulare il metabolismo dei farmaci e studiare le interazioni farmaco-farmaco, l’infiammazione e l’infezione.

Una delle ricerche più interessanti sui chip di fegato è quello finalizzato alla modellazione delle epatotossicità specifiche per l’uomo che sono di frequente non evidenziabili nella sperimentazione preclinica su animali.

Photo by Wyss Institute at Harvard University

Intestino

Sono stati realizzati numerosi modelli di OoC dell’intestino tenue e del crasso. Sono stati progettati sia per studiare e modellare varie patologie sia per studiare  il metabolismo e la tossicità dei farmaci.

Si tratta di chip che sono rivestiti da cellule epiteliali intestinali con o senza endotelio sottostante. È sorprendente che la sola presenza di un flusso di fluido dinamico sia risultata necessaria e sufficiente a promuovere la formazione di villi nei frammenti di intestino tenue.

È interessante notare anche che nei modelli di OoC dell’intestino tenue la cessazione della motilità ricorrente (motilità che nel nostro organismo corrisponde alla peristalsi) provoca sia un eccessivo sviluppo della flora batterica, sia delle lesioni epiteliali, emulando in tal modo l’ileo paralitico causato dalla paralisi intestinale che, a sua volta, può essere causata tra l’altro da farmaci come gli oppiacei, gli anticolinergici, etc.

Rene

OoC renali rivestiti da cellule tubulari o glomerulari renali umane sono utilizzati per lo studio del trasporto, del riassorbimento e della tossicità sia di farmaci che di molecole di varia natura.

Un OoC renale a due canali rivestito da epitelio tubulare prossimale ha replicato una specifica tossicità del cisplatino come si osserva nei pazienti ma non nelle colture di tessuto o nei modelli animali. Dobbiamo ricordare che il cisplatino è un agente alchilante e un chemioterapico presente della lista dei farmaci essenziali dell’OMS e quindi lo studio della sua farmacocinetica e farmacodinamica è estremamente importante.

Cervello

Tramite gli OoC sono in corso studi sulla fisiopatologia del morbo di Parkinson. A tal fine è stato creato un chip cerebrale umano a due canali che ha mostrato di avere livelli di espressione genica più simili a quelli della substantia nigra umana rispetto a quelli dei sistemi di coltura convenzionali.

Ulteriori chip sono stati realizzati per simulare la barriera emato-encefalica. In questo caso si tratta di chip a due canali che contengono un endotelio cerebrale interfacciato con periciti ed astrociti cerebrali oppure astrociti e neuroni.

Paziente su chip

Nel 2020 i ricercatori, unendo i vari ‘Organi su Chip’, hanno realizzato il ‘Paziente su un Chip’ (Patient-on-a-chip) allo scopo di simulare il corpo umano piuttosto che il singolo organo. Questa tecnologia apre scenari sterminati sulla possibilità di sperimentare l’efficacia di nuovi farmaci. A questo è stata aggiunta la potenza offerta dall’Intelligenza Artificiale: alimentati dalle enormi quantità di dati provenienti dai sistemi Patient-on-a-chip i sistemi di Machine Learning possono permettere di predire con velocità ed efficacia la validità di un farmaco in termini di sicurezza ed efficacia per gli esseri umani.

È in corso di sperimentazione, con le modalità Patients-on-a-Chip più Intelligenza Artificiale, anche un farmaco per la sindrome dell’X fragile. Tale sindrome è una condizione genetica ereditaria che causa disabilità cognitiva, problemi di apprendimento e relazionali. È fortemente invalidante ed è la causa ereditaria più comune di autismo e disabilità intellettive nel mondo. Sinora non sono stati trovati farmaci validi nonostante i numerosi tentativi.

Il futuro è qui con noi.

Per contattare l’autore potete scrivere una mail a: comunicazione@cassagaleno.it

dottor Riccardo Bugliosi

Riccardo Bugliosi è medico, specialista in Medicina Interna. Ha pregressi studi universitari in Fisica ed Ingegneria Elettronica. Esperto di Intelligenza Artificiale lavora nell’ICT. Le sue pubblicazioni sono facilmente reperibili sul web.